Piero Terracina

 
Piero Terracina

nato nel 1928
Roma

15 Racconti

11.9 min
Ritornare non fu una cosa veloce. Dalla Russia finalmente erano riusciti ad organizzare un convoglio per portare i 30 prigionieri italiani verso la Romania, in un campo americano. Piero preferì ad una sosta del convoglio, appena fuori dal territorio russo, scendere e andare per conto proprio. E da Bucarest alla fine riuscì a tornare a Roma.
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17.2 min
Quando sono arrivati i russi a liberare il campo Piero non ricorda nessuna delle scene di gioia che hanno fatto vedere in seguito i documentari americani. Nessuno ha detto nulla, addirittura uno dei compagni di Piero che si stava lavando le piaghe, quando sentì Piero dire che fuori c’erano i russi, girà solo un momento la testa poi tornò a lavarsi le piaghe. I russi chiesero la collaborazione dei sopravvissuti per seppellire i morti che i tedeschi avevano lasciato nel campo, poi andarono tutti a piedi verso un campo profughi e durante la strada Piero crollò. Non aveva ancora 17 anni, era lato 1,75 e pesava 38 chili. Fu portato in ospedale e poi in un altro ospedale e poi in una latro ancora fino a quando non si riprese. Riuscì anche a contattare l’ambasciatore italiano a Mosca e farsi mandare dei libri oltre alla promessa di aiuto per il ritorno in Italia.
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21.9 min
Piero ha superato otto selezioni che per Birkenau era una cosa inaudita. Le selezioni venivano fatte periodicamente per stabilire che era ancora in gradi di lavorare e chi era destinato alle camere a gas. E non era solo una questione di efficienza: arrivavano sempre nuovi deportati e bisognava liberare posti. Lo zio non passò la selezione poco dopo arrivato. E Piero perse di vista anche i due fratelli: uno venne portato a Danzica dove morì, l’altro venne portato via a piedi in una delle cosiddette marce della morte durante le quali chi non moriva di stenti veniva ucciso con un colpo di pistola perché caduto per terra dalla stanchezza. Alla fine, coi i russi alle porte, i tedeschi presero tutti dal campo per trasferirli verso l’interno della Germania. Piero pensò di morire in quella ultima marcia invece insieme ad alcuni compagni riuscì a scappare. Vagarono nella neve e nella notte poi videro le sagome di alcune costruzioni: erano arrivati al campo di Auschwitz Uno, il campo principale. I tedeschi erano andati via lasciando centinaia di morti per terra. Ma non c’erano più e di e portati ne erano rimasti pochissimi. Riuscirono a trovare da mangiare poi la mattina Piero uscì dalla ...
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8.4 min
Il lavoro consisteva nello scavare canali che evitassero al terreno di allagarsi ogni volta che pioveva ma era un lavoro titanico, pioveva sempre. Poi si trattò di scavare delle enormi fosse: a Birkenau si era arrivati a uccidere e bruciare fino a diecimila persone al giorno ma le cifre aumentavano perché aumentavano i deportati destinati allo sterminio e i forni non bastavano più. Così i corpi portati fuori dalle camere a gas venivano buttati nelle fosse e bruciati sui roghi fatti di legna. Dalle baracche si vedeva tutto. E c’era sempre più fretta, forse qualcuno è arrivato dalla camera a gas nelle fosse ancora vivo. Questo video è presentato anche nella sezione speciale "Le mie Memorie - la nostra Storia" Translation in Greek - Auschwitz Birkenau: η κόλαση - τον πατέρα σας δεν τον ξαναείδατε... - όχι, όχι μετά την επιλογή Εμείς, ας πούμε οι πιο νέοι, ήμαστε εντελώς χαμένοι. Μας πήγαν σε μία παράγκα που ονόμαζαν σάουνα και μείναμε εντελώς γυμνοί: μάς πήραν τα πάντα, ρούχα, παπούτσια, ...
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14.0 min
Dopo un interminabile viaggio chiusi in un vagone dove non c’era posto nemmeno per sedersi, arrivarono ad Auschwitz, in Polonia. Piero racconta l’arrivo esattamente come poi lo hanno raccontato nei film: fuori dal treno i tedeschi erano tutti armati di bastone, molti avevano i cani. La gente che scendeva dai vagoni cercava subito di ritrovare i propri familiari. Piero ritrovò subito sia i fratelli che la madre e la sorella. Ma poterono stare poco insieme: gli uomini vennero separati dalle donne, i giovani dai vecchi, i bambini dalle madri. La madre li salutò benedicendoli. Il padre e il nonno vennero mandati nella fila di quelli non abili al lavoro. Il padre aveva capito che sarebbero stati uccisi subito.
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13.7 min
Sono rimasti a Regina Coeli solo quattro giorni e quando li hanno portati via Piero ha rivisto i familiari. Furono portati via insieme a moti altri su sei o sette camion diretti verso nord. A Prima Porta i tedeschi urlando li fecero scendere vicino ad una rupe scavata: tutti pensarono che li avrebbero uccisi invece i tedeschi volevano che facessero i bisogni perché dovevano viaggiare tutta la notte. Arrivarono a Fossoli: era un campo italiano con un comando tedesco, si viveva ancora in gruppi familiari. A Fossoli Piero per la prima volta ha visto morire un uomo: un tedesco gli sparò un colpo in testa perché lui non si era levato il cappello. Non aveva capito cosa urlava il tedesco, nessuno capiva il tedesco.
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16.4 min
Il 7 aprile cominciava la Pasqua ebraica. In famiglia si sentivano più tranquilli, erano passati i mesi dalla retata in Ghetto, si sapeva che gli americani sarebbero arrivati presto. La sera prima decisero di fare il pranzo rituale e si era fermato anche il fratello del padre, anche lui nascosto, che sarebbe rientrato all’Ostiense l’indomani mattina alla fine del coprifuoco. Ma ad un certo punto sentirono bussare, la sorella andò ad aprire: erano due soldati delle SS. Dissero che avevano venti minuti di tempo per prendere le cose, il padre cercò di intercedere per il nonno che aveva 84 anni ed era da poco rimasto vedovo. Non ci fu nulla da fare. In basso, vicino alla camionetta delle SS c’era un giovanotto italiano: la mattina aveva fatto finta di fare la corte alla sorella che andava a fare la spesa, aveva scoperto dove abitavano e li aveva denunciati, anzi venduti perché per ogni ebreo i tedeschi pagavano 5mila lire.
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13.7 min
L’8 settembre fu un spartiacque. Il clima si fece pesante e poi arrivò quella mattina del 16 ottobre. Piero era andato a fare la fila dal tabaccaio dove c’era la distribuzione di sigarette. Si vide arrivare il padre che gli disse di tornare a casa con lui: aveva saputo che in Ghetto rastrellavano gli ebrei. A casa la madre e la sorella avevano preso qualcosa, riempito borse e bisacce e aspettavano senza sapere che fare. Sulle prime andarono in un gazebo a villa Sciarra, poi il padre chiese ospitalità ad un amico che gli mise a disposizione una stanza. Ma loro erano in otto, c’erano anche i nonni anziani. E così il giorno dopo finirono in un palazzo a piazza Rosolino Pilo dove il portiere li fece entrare in un appartamento momentaneamente vuoto.
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15.6 min
Piero cominciò a frequentare la scuola ebraica, fece lì la quinta elementare e poi le medie. Era una scuola rigida ma estremamente valida. I professori erano i migliori che potevano capitare anche perché la scuola poteva scegliere fra tutti quegli insegnanti che per effetto delle leggi razziali avevano perduto il lavoro e aveva scelto i migliori. Per tutto il periodo della guerra, anche se le cose scarseggiavano, in famiglia non c’erano grandi difficoltà: il padre continuava il lavoro di rappresentante anche se molti mandati gli erano stati tolti, i fratelli, compreso Piero, si davano da fare comprando e vendendo qualunque cosa trovassero nei magazzini. Ma arrivò l’8 settembre.
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10.9 min
Piero abitava nel quartiere di Monteverde e fino ad allora non aveva frequentato la scuola ebraica che era lontana, ma la scuola pubblica. Quando furono promulgate le leggi razziali, una mattina Piero in classe si sentì dire che non poteva restare con i suoi compagni. Tornò a casa e nelle settimane che seguirono mai nessuno degli amici, mai nessuna delle famiglie, si fece viva a chiedere Piero che fine aveva fatto o come stava.
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